Paolini2-Eldest - Volodyk
Шрифт:
Интервал:
Закладка:
Garzhvog emise un rauco gorgoglio che Eragon interpretò come una risata. «Furianera è il nome che abbiamo dato a tuo padre per come ci inseguiva negli oscuri tunnel della montagna cava e per il colore della sua pelle. Tu, che sei sua figlia, meriti lo stesso nome.» Con queste parole, il Kull si volse e si allontanò a grandi passi dal padiglione. Alzandosi, Nasuada proclamò: «Chiunque attacchi un Urgali verrà punito come se avesse attaccato un compagno umano. Che il mio ordine venga diffuso in ogni compagnia.»
Aveva appena finito di parlare, quando Eragon notò re Orrin arrivare trafelato, il lungo mantello che gli svolazzava sui polpacci. Quando fu abbastanza vicino, gridò: «Nasuada! È vero che ti sei incontrata con un Urgali? Che cosa intendevi fare, e perché non sono stato avvertito prima? Io non...»
Il re fu interrotto da una sentinella che emerse dalla moltitudine di tende grigie, gridando: «Un uomo a cavallo, mandato dall'Impero!»
Re Orrin interruppe subito la sua protesta per seguire Nasuada che correva verso l'avanguardia dell'esercito, seguita da almeno un centinaio di soldati. Piuttosto che rimanere bloccato dalla folla, Eragon montò in groppa a Saphira e si fece portare da lei a destinazione.
Quando Saphira si fermò vicino al terrapieno, le trincee e le file di pali acuminati che proteggevano la prima linea dei Varden, Eragon vide un soldato solitario avanzare al galoppo sfrenato lungo la terra di nessuno. I rapaci si abbassarono in volo per vedere se era arrivato l'antipasto del banchetto imminente.
Il soldato tirò le redini del suo nero stallone a trenta iarde dalle fortificazioni, fermandosi a una ragionevole distanza di sicurezza dai Varden, e gridò: «Rifiutando la generosa offerta di resa di re Galbatorix, avete scelto di morire. Non ci sarà più alcun negoziato. La mano tesa in segno di amicizia si è trasformata in un pugno di ferro! Se qualcuno di voi rispetta ancora il nostro legittimo sovrano, l'onnipotente, l'onnisciente re Galbatorix, che fugga! Nessuno sopravviverà quando l'esercito imperiale provvedere a far piazza pulita in Alagaésia di ogni miscredente, traditore e sovversivo. E per quanto questo addolori il nostro sovrano, perché sa che la maggior parte di questi atti di ribellione sono stati istigati da capi invidiosi e dissidenti, puniremo com'è giusto il riottoso territorio noto come Surda per restituirlo alla benevola guida di re Galbatorix, lui, che si sacrifica giorno e notte per il bene del suo popolo. Perciò fuggite, vi dico, o subirete il destino del vostro araldo.»
Il soldato slegò i cordoni di una sacca di tela che teneva appesa al fianco ed estrasse una testa mozzata. La scagliò in aria e la guardò cadere fra i Varden; poi fece voltare lo stallone, gli piantò gli speroni nei fianchi e tornò al galoppo verso la massa scura dell'esercito di Galbatorix.
«Devo ucciderlo?» chiese Eragon.
Nasuada scosse il capo. «Avremo presto la nostra vendetta. Non violerò la sacralità dei messaggèri, come ha fatto l'Impero.»
«Come...» Eragon trasalì di sorpresa e si afferrò al collo di Saphira per non cadere di sella, quando la dragonessa si impennò, piantando le zampe davanti sulla terra livida e compatta del bastione. Spalancando le fauci, Saphira lanciò un lungo, profondo ruggito, come aveva fatto Garzhvog: ma questo era una sfida aperta ai suoi nemici, un avvertimento dell'ira che avevano suscitato e un appello per tutti coloro che odiavano Galbatorix.
Il suono della sua voce tonante spaventò tanto lo stallone da farlo scartare. Il cavallo scivolò sul terreno bollente e cadde. Il soldato fu sbalzato di sella e piombò su una vampa di fuoco verde che eruttò proprio in quel momento. Lanciò un solo grido, così orribile che fece arricciare il cuoio capelluto di Eragon. Poi calò un silenzio di morte. Gli uccelli cominciarono a scendere.
I Varden acclamarono Saphira. Perfino Nasuada si concesse un breve sorriso. Poi battè le mani e disse: «Attaccheranno all'alba, presumo. Eragon, riunisci il Du Vrangr Gata e preparati all'azione. Ti farò avere ordini entro un'ora.» Cingendo le spalle di re Orrin, Nasuada lo ricondusse gentilmente verso il centro dell'accampamento. «Sire, bisogna prendere delle decisioni. Ho in mente un certo piano, ma occorre...»
Che vengano, disse Saphira. La punta della sua coda fremeva come quella di un gatto appostato davanti alla tana di un topo. Bruceranno tutti.
Pozione di strega
La notte era calata sulle Pianure Ardenti. La cappa di fumo opaco oscurava la luna e le stelle, sprofondando la terra in una fitta tenebra, interrotta soltanto dagli improvvisi bagliori dei fuochi di torba e dalle migliaia di torce accese nei due schieramenti opposti. Dalla postazione avanzata di Eragon, l'esercito imperiale sembrava un denso tappeto di braci rosseggianti, vasto quanto una città.
Quando ebbe finito di allacciare l'ultimo elemento della corazza di Saphira sulla sua coda, Eragon chiuse gli occhi per concentrarsi sul contatto mentale con gli stregoni del Du Vrangr Gata. Aveva imparato a localizzarli in un istante; la sua vita dipendeva dalla rapidità e dalla precisione con cui riusciva a comunicare con loro. A loro volta, gli stregoni avevano imparato a riconoscere il contatto della sua mente per non bloccarlo quando li chiamava in aiuto. Eragon sorrise e disse: «Ciao, Orik.» Aprì gli occhi e vide il nano arrampicarsi sul basso poggio roccioso su cui erano appostati lui e Saphira. Orik, in perfetta tenuta da combattimento, impugnava il suo arco di corna di Urgali nella mano sinistra.
Accovacciandosi al suo fianco, Orik si asciugò la fronte e scosse la testa. «Come sapevi che ero io? La mia mente era protetta.»
Ogni coscienza proietta una sensazione diversa, spiegò Saphira. Così come due voci non hanno mai lo stesso timbro. «Ah.»
Eragon chiese: «Come mai qui?»
Orik si strinse nelle spalle. «Ho pensato che forse ti andava un po' di compagnia in questa triste notte. Arya è impegnata altrove, e non hai più Murtagh a combattere al tuo fianco.»
Quanto vorrei che ci fosse, pensò Eragon. Murtagh era stato l'unico umano in grado di eguagliare Eragon con la spada, almeno fino all'Agaeti Blòdhren. Duellare con lui era stato uno dei pochi piaceri che Eragon avesse assaporato nel periodo che avevano passato insieme. Mi piacerebbe misurarmi ancora con te, amico mio.
Ripensando a come Murtagh era rimasto ucciso - trascinato nel sottosuolo del Farthen Dùr dagli Urgali - Eragon si trovò ad affrontare una desolante verità: anche se eri un guerriero valoroso, era soltanto il caso che dettava chi doveva vivere o morire in guerra.
Orik dovette avvertire il suo stato d'animo, perché battè
il palmo sulla spalla di Eragon e disse: «Andrà tutto bene. Pensa a come si devono sentire quei soldati là fuori, sapendo che ben presto dovranno affrontare te!»
La gratitudine strappò un sorriso a Eragon. «Sono contento che tu sia venuto.»
La punta del naso di Orik arrossì, e il nano abbassò lo sguardo, rigirandosi l'arco fra le mani nodose. «Ah, be'» borbottò, «Rothgar non mi perdonerebbe mai se permettessi che ti accadesse qualcosa. E poi siamo fratelli adottivi, no?»
Attraverso Eragon, Saphira chiese: E gli altri nani? Non sono ai tuoi comandi?
Uno scintillio illuminò gli occhi di Orik. «Oh, sì, e ci raggiungeranno presto. In quanto membri del Dùrgrimst Ingietum, è nostro sacrosanto dovere combattere insieme l'Impero. Così voi due non sarete troppo vulnerabili; potrete concentrarvi a scoprire gli stregoni di Galbatorix, invece di difendervi da costanti attacchi.»
«Buona idea. Ti ringrazio.» Orik borbottò un assenso. Poi Eragon chiese: «Cosa ne pensi di Nasuada e degli Urgali?» «Ha fatto la scelta giusta.»
«Sei d'accordo con lei!»
«Sì. Non mi piace come non piace a te, ma sono d'accordo.»
Seguì un lungo silenzio. Eragon sedeva appoggiato al fianco di Saphira e guardava l'Impero, sforzandosi di tenere a bada l'apprensione crescente. I minuti passavano lenti e inesorabili. L'attesa della battaglia per lui era snervante quanto la battaglia stessa. Ingrassò la sella di Saphira, lucido il proprio usbergo e riprese a familiarizzare con le menti del Ehi Vrangr Gata, facendo di tutto pur di passare il tempo.
Un'ora dopo, percepì due esseri che si avvicinavano dalla terra di nessuno. Angela? Solembum? Perplesso e allarmato, svegliò Orik, che si era appisolato, e gli disse che cosa aveva scoperto.
Il nano aggrottò la fronte ed estrasse l'ascia di guerra dalla cintura. «Ho incontrato l'erborista soltanto un paio di volte, ma non mi sembra il tipo da tradirci. Frequenta i Varden da decenni ormai.»
«Dobbiamo comunque scoprire che cosa stava facendo» disse Eragon.
Insieme si inoltrarono nell'accampamento per intercettare la coppia che si avvicinava alle fortificazioni. Ben presto Angela arrivò nella luce, con Solembum che le trotterellava dietro. L'indovina era coperta da un lungo, scuro mantello che le consentiva di confondersi nell'ambiente circostante. Mostrando una sorprendente forza e agilità, superò le fortificazioni di diversa natura che i nani avevano eretto, volteggiando di palo in palo e saltando oltre le trincee, e infine corse giù per la scarpata dell'ultimo bastione per fermarsi, ansante, davanti a Saphira.
Gettando indietro il cappuccio, Angela rivolse ai tre un sorriso radioso. «Un comitato d'accoglienza! Gentile da parte vostra.» Mentre parlava, il corpo del gatto mannaro fu percorso da un brivido che gli increspò il pelo. Poi i suoi contorni tremolarono, come visti attraverso l'acqua, e si trasformarono nella nuda figura del giovanetto dai capelli irti. Angela frugò nella propria borsa e gli passò una tunica da ragazzo e un paio di calzoni, insieme al piccolo pugnale nero con cui combatteva.
«Che ci facevate là fuori?» chiese Orik, squadrandoli con sospetto.
«Oh, un giretto.»
«Faresti meglio a dirci la verità» disse Eragon.
Il volto dell'indovina si adombrò. «Ah, sì? Non ti fidi di me e di Solembum?» Il gatto mannaro snudò i denti aguzzi. «Non proprio» ammise Eragon, con un debole sorriso.
«Bravo» disse Angela, e gli posò una mano sulla guancia.
«Così vivrai più a lungo. Se proprio vuoi saperlo, stavo facendo del mio meglio per sconfiggere l'Impero, solo che i miei metodi non prevedono di andare in giro urlando a squarciagola e mulinando una spada.»
«E quali sarebbero i tuoi metodi?» brontolò Orik.
Lì per lì Angela non rispose, ma si tolse il mantello, lo arrotolò e infilò il fagotto nella borsa. «Preferirei non dirlo; voglio che sia ima sorpresa. Non dovrete aspettare molto per scoprirlo. Comincerà fra poche ore.»
Orik si tirò la barba. «Cosa comincerà? Se non ci dai subito una risposta precisa, ti porteremo da Nasuada. Forse lei riuscirà a ridurti alla ragione.»
«È inutile portarmi da Nasuada» ribattè Angela. «È stata lei a darmi il permesso di attraversare le linee.» «Lo dici tu» la sfidò Orik, sempre più bellicoso.
«Lo dico io» dichiarò Nasuada, sopraggiungendo alle loro spalle, come Eragon aveva già percepito. Sentì anche che era scortata da quattro Kull, fra cui Garzhvog. Scuro in volto, si voltò ad affrontarli, senza celare la rabbia che provava davanti agli Urgali.
«Mia signora» mormorò Eragon.
Orik non fu altrettanto composto; fece un balzo all'indietro lanciando una potente imprecazione e brandendo l'ascia. Quando si rese conto che non erano stati attaccati, salutò Nasuada con rispetto. Ma la sua mano non abbandonò mai il manico dell'arma e il suo sguardo non si staccò dai torreggianti Urgali. Angela sembrava non condividere i loro pregiudizi. Tributò a Nasuada il rispetto dovuto, poi si rivolse agli Urgali nel loro rauco linguaggio, e i quattro risposero con evidente entusiasmo.
Nasuada trasse Eragon in disparte per poter parlare da solo. Poi disse: «Voglio che per il momento tu metta da parte i tuoi sentimenti e giudichi quanto sto per dirti con logica e raziocinio. Lo farai?» Lui annuì, impassibile. «Bene. Sto facendo di tutto per scongiurare una sconfitta domani. Ma non servirà a niente combattere con valore, o persino mandare in rotta l'Impero, se tu» e gli piantò l'indice sul petto «resti ucciso. Capisci?» Lui annuì di nuovo. «Non c'è niente che io possa fare se Galbatorix scenderà in campo; in quel caso, dovrai affrontarlo da solo. Per lui, il Du Vrangr Gata non rappresenta una minaccia più di quanto non lo sia per te, e non li manderò allo sbaraglio senza una buona ragione.»
«Ho sempre saputo» disse Eragon «che avrei dovuto affrontare Galbatorix da solo, insieme a Saphira.» Un triste sorriso affiorò sulle labbra di Nasuada. Sembrava molto stanca nella tremula luce delle fiaccole. «Be', non c'è motivo di crearsi problemi che non esistono. È possibile che Galbatorix nemmeno ci sia.» Ma lei stessa sembrava poco convinta delle proprie parole. «Comunque, posso almeno impedirti di morire con una spada infilata nel ventre. Ho sentito che cosa intendono fare i nani, e ho pensato di sfruttare l'idea. Ho chiesto a Garzhvog e a tre dei suoi arieti di farti da guardie del corpo, purché acconsentissero, come hanno fatto, a lasciarsi esaminare la mente da te.» Eragon s'irrigidì. «Non puoi aspettarti che combatta con quei mostri. Oltretutto ho già accettato l'offerta di protezione dei nani per me e Saphira. La prenderebbero male se li allontanassi in favore degli Urgali.»
«Possono entrambi vegliare su di te» ribatte Nasuada. Il capo dei Varden guardò a lungo il volto di Eragon, in cerca di quello che non poteva dire. «Oh, Eragon. Speravo che riuscissi a guardare oltre il tuo odio. Che cos'altro faresti nei miei panni?» Sospirò quando lui rimase in silenzio. «Se c'è qualcuno che ha tutto il diritto di covare rancore per gli Urgali, quella sono io. Hanno ucciso mio padre. Eppure non posso permettere che questo interferisca sulle decisioni da prendere per il bene dei Varden... Almeno chiedi l'opinione di Saphira, prima di rispondere sì o no. Potrei ordinarti di accettare la protezione degli Urgali, ma preferirei di no.»
Ti stai comportando da sciocco, disse Saphira senza essere interpellata.
Sciocco a non volere che i Kull mi guardino la schiena?
No, sciocco a rifiutare un aiuto, da qualunque parte provenga, nella nostra attuale situazione. Rifletti. Sai che cosa farebbe Oromis al posto tuo, e sai che cosa direbbe. Non ti fidi del suo giudizio?
Non può avere sempre ragione su tutto, protestò Eragon.
Questa non è una scusa... Cerca dentro di te, Eragon, e dimmi se dico il vero. Tu conosci la via giusta. Mi deluderesti, se ti ostinassi a non seguirla.
Le argomentazioni di Saphira e Nasuada non fecero che accrescere la sua riluttanza. Eppure sapeva di non avere scelta. «D'accordo, accetto di farmi proteggere dagli Urgali, a patto di non trovare niente di sospetto nelle loro menti. Ma mi prometti di non farmi mai più vedere un Urgali, dopo questa battaglia?»